Thinking…

Da quando sono a Trento ho ri-scoperto cosa vuol dire avere del tempo libero. Non è tanto una questione di lavoro più leggero (anzi, qui i miei orari sono quasi da ufficio), ma semplicemente di sprecare il meno possibile il tempo che ho a disposizione di sera e nei weekend.

Ieri sera, ad esempio, volevo suonare qualcosa di speciale: “Comptine d’un autre été, l’après-midi”, di Yann Tiersen. Il pezzo è divenuto piuttosto celebre perché inserito nella colonna sonora del film “Il favoloso mondo di Amélie”.

Nemmeno alla Corrida

Stanotte ho dormito poco. Come se non bastasse, poi, stamattina mi sono svegliato con in testa una musichetta davvero alienante. Dopo vari tentativi di capire a quale misteriosa canzone appartenesse la melodia, ho avuto una visione: Sanremo 2002, Lollipop, Batte forte.

Comprendo perfettamente chi in questo momento sta smettendo di leggere il post e ancora di più ha tutto il mio sostegno il lettore che si sta dirigendo velocemente in bagno per espellere la colazione dal buco sbagliato. Tuttavia i fatti sono questi e non ci posso fare nulla.

Dopo ore e ore nel tentativo di compiere l’esorcismo che eliminasse questa impurità dal mio corpo (leggere un libro di Machine Learning pensando al peggior pop italiano di sempre non è proprio il massimo), ho deciso di adottare la terapia d’urto: cercare il pezzo su YouTube. Ne ho trovate addirittura due versioni: quella ufficiale, registrata in studio e incisa nei dischi, e il live al Festival di Sanremo. Da questa seconda esibizione deriva l’idea di questo post e la profonda consapevolezza che essere belli è molto più utile che essere capaci.

Tutti a fare la cacca

Ieri sera sono stato a un concerto dei Negrita. Non è stato un appuntamento previsto, ma comunque si è rivelato piacevole.

Prima del gruppo “di punta” ha suonato, come accade spesso, un gruppo spalla che da una parte allieta il pubblico in attesa da ore per vedere i loro beniamini e dall’altra parte utilizza questo momento per mettersi alla prova con un palcoscenico. Il cantante di questo gruppo, alla fine, ha detto di sentirsi molto emozionato, anzi letteralmente di “farsela sotto dalla paura”, per aver introdotto un gruppo importante come i Negrita.

In questo momento ho quindi immaginato la scena del povero cantante che si trova tutt’un tratto davanti a quello che, probabilmente, è il tanto agognato punto di arrivo.

Poi subito dopo mi sono immaginato io che, per caso, incontro il leader dei Negrita per strada. Non conoscendoli per nulla, avrei sicuramente proseguito per la mia strada. Diverso invece ad esempio un possibile incontro con un cantante a me caro (penso a Max Gazzé o a Samuele Bersani, per citarne di non troppo famosi): mentre io probabilmente rischierei di trovarmi impacciato o imbarazzato, altri semplicemente li ignorerebbero.

Per risolvere questo problema, ho ideato un trucco mentale utile a far scendere dal piedistallo i personaggi che noi consideriamo idoli: immaginarli seduti sul gabinetto intenti a fare quello che tutti noi, quotidianamente, nolenti o nolenti facciamo.

Ecco risolto il problema. Avete un timore reverenziale per il Papa? Immaginatelo a spingere, seduto sul cesso, mentre magari si allieta leggendo l’Avvenire. Oppure il leader stesso dei negrita, tutto spavaldo sul palco mentre incita il pubblico, ma con un’espressione decisamente diversa nel momento in cui lo coglie la cosiddetta “diarrea a spruzzo”.

Ora mi fanno un po’ meno paura. A voi no?

Beat it

Non sono qui per annunciare una notizia che ha fatto il giro del mondo, ma per sottolineare la morte di un genio. Pazzo, certo. Ma un genio.

Michael Jackson, morto a causa di un infarto alla giovane età di 50 anni, in pochissimi anni ha fatto tutto quello che un musicista non riuscirebbe a fare in una o più vite.

Era compositore, cantante, arrangiatore, ballerino e – nessuno può negarlo – uomo di spettacolo sempre capace di attrarre l’attenzione su di lui. Ha inventato un genere musicale nuovo; ha portato alla celebrità passi di danza come il moonwalk; l’album Thriller è il più venduto della storia della musica mondiale, con 110 milioni di copie (e chissà di quanto salirà questa cifra dopo la sua morte). Anche da un punto di vista sociale ha sollevato giudizi sempre discordanti sull’opinione pubblica per le operazioni chirurgiche effettuate per diventare bianco di pelle.

Inoltre, non dimentichiamolo, è coautore con Lionel Richie del famosissimo brano “We are the world”, scritto per il continente africano, che ha permesso di devolvere in beneficienza milioni di dollari (altro che concerto per l’Abruzzo andato deserto a Milano qualche settimana fa).

Qualcuno penserà che Michael ora abbia raggiunto la celebre isola (forse ispirazione per gli autori di “Lost”) in cui dimorano da decine di anni Elvis Presley e Marilyn Monroe. Forse è anche vero, perché certa gente non muore mai.

Spero solo che il coroner, nell’annunciare il decesso, abbia scritto “bianco” sul referto alla voce “colore della pelle”. Lui avrebbe apprezzato.

Addio al Thunder Road

Se è vero che tutto ha un inizio e tutto ha una fine (la regola vale anche per l’Universo e mette d’accordo creazionisti ed evoluzionisti), è anche vero che spesso la fine avviene troppo presto.

Così se ne va un’istituzione come il Thunder Road, locale di Codevilla (vicino Pavia) sul cui piccolo/grande palco si sono succeduti gruppi e cantanti solisti di grande successo. La causa è la stessa che ha portato alla chiusura del cinema multisala del centro di Pavia: il padrone dei muri ha sfrattato gli affittuari per aggiungere cemento e quadruplicare la rendita dell’edificio.

Così dopo 16 anni di feste, concerti e incontri domani il Thunder chiude “a testa alta”, organizzando una grandiosa festa a partire dalle 16.00 per andare a oltranza, finché se ne ha voglia.

Nonostante le critiche da me mosse in occasione del concerto dei Marlene Kuntz, spiace vedere uno spazio di aggregazione spegnersi non perché non abbia funzionato, ma perché le logiche di mercato prevedono che un negozio di scarpe sia preferibile a un locale che organizza concerti. Se questa è la crisi, quella vera, allora vuol dire che non ha nemmeno quell’effetto positivo di ridurre la corsa all’acquisto di massa tipica del capitalismo degli ultimi anni. Si stava meglio quando si stava meglio.

L’addio al Thunder redatto dal titolare del locale

I soldi tutto possono…

Ce l’ha fatta solo Microsoft. Per anni ci avevano provato tutti, senza risultati.

Oggetto dell’evento: riunire sotto un unico tetto ciò che rimane dei Beatles (in una sorta di “primiera” degna della miglior parita a Scopa): Paul McCartney (7), Ringo Starr (7) e le vedove (6 e 6) dei due componenti mancanti: George Harrison e John Lennon, rispettivamente l’altro 7 e il 7 bello di questa primiera da urlo.

L’occasione per questa riunione di famiglia è stata la presentazione del nuovo videogioco “The Beatles: Rock Band” prodotto da Mtv e Microsoft.

I quattro (strapagati?) ospiti hanno espresso apprezzamento per il gioco, disponibile per tutte le maggiori console a partire dal 9 settembre (si ripete ogni anno il classico giochino 09-09-09). Nota di colore: la canzone “All you need is love” per il videogioco sarà disponibile a parte, solamente per Xbox360, e il ricavato delle vendite del brano sarà devoluto a Medici Senza Frontiere.

Spartiti di Warcraft II

Warcraft II

Capita spesso che di alcuni grandi film rimane impressa negli spettatori più la musica del film stesso. A me è successo con un videogioco: Warcraft II. Le sue musiche, che nella versione originale erano inserite nel CD come tracce audio, sono costantemente nelle mie orecchie. Credo che creino una sorta di dipendenza per quanto sono melodiche ma al contempo armonicamente complesse e ricche di arrangiamenti. Peccato solo che le incisioni originali siano probabilmente create tramite un computer e non suonate da una vera orchestra.

Ieri sera, scartabellando internet, ho trovato un sito che contiene varie centinaia di spartiti di musiche dei videogiochi. Tra queste ho scaricato, incredulo, anche due PDF con le note di due dei dodici motivi di Warcraft II. Una volta scaricate e stampate, ho constatato che ci vorranno settimane, forse mesi, di studio prima che io possa dire vagamente di saperle suonare.

Non perdo altro tempo: devo rimboccarmi le maniche e cominciare!

Lettera alla S.I.A.E.

Non c’è nulla da fare: il concerto dei Marlene Kuntz, anche se non per colpa loro, proprio non mi è andato giù. Volendo andare avanti nella questione, ho deciso di scrivere una lettera alla S.I.A.E. nonostante io personalmente, per usare un eufemismo, non stimi particolarmente il suo comportamento e le leggi che ne regolano l’esistenza. Tuttavia le leggi, per quanto talvolta poco condivisibili, devono essere rispettate. Da tutti.

Spett.le S.I.A.E.,
mi chiamo Alessio Palmero Aprosio e recentemente mi sono trovato davanti a un episodio che mi ha lasciato qualche dubbio sulle questioni legali legate ai concerti definiti “a ingresso libero”.
La sera del 20 giugno mi sono recato presso il locale Thunder Road a Codevilla (PV) attratto da alcune locandine che sponsorizzavano un concerto del gruppo italiano Marlene Kuntz. Le locandine riportavano la dicitura “ingresso libero”. Arrivato al locale mi sono trovato davanti a un cartello recante il seguente messaggio: “Ingresso libero, consumazione obbligatoria 10 euro”. Sono rimasto alquanto perplesso perché, sinceramente, non me l’aspettavo.
Decido di entrare comunque nel locale, rendendomi conto che l’ingresso è effettivamente gratuito. Provando a uscire, però, un buttafuori (che definirei più che altro un buttadentro) mi ha detto che finché non consumo non posso uscire. Al di là della legalità o meno di questa “strategia”, la cosa che mi ha spinto di più a scrivere questo messaggio è il prezzo minimo della consumazione, ovvero i 10 euro. In pratica la prima consumazione (quale che fosse) aveva un costo di 10 euro, mentre dalla seconda in poi il prezzo era quello di listino. Per quanto ne capisco io, questa strategia mi sembra più un “ingresso 10 euro, prima consumazione inclusa” piuttosto che “ingresso libero, consumazione obbligatoria 10 euro”.

In conclusione la mia domanda è: da un punto di vista prettamente “legale”, è corretto questo tipo di strategia, considerando il fatto che non ho avuto alcun biglietto con il marchio S.I.A.E.? Per quanto mi ricordo le volte che ho organizzato concerti all’aperto, se il biglietto era a pagamento eravamo tenuti a vendere i biglietti con il bollino. Se invece l’ingresso è libero, il pagamento dovuto alla S.I.A.E. è molto minore.
Può quindi considerarsi “a ingresso libero” il concerto sopra descritto?

Grazie mille della delucidazione
Distinti saluti
Alessio Palmero Aprosio

Cristicchi al Broletto

Simone Cristicchi

Questa sera mi sono trovato per caso a vedere uno spettacolo di rara qualità. Entrare in un bar per prendere una coca e scoprire che dalla porta posteriore si poteva assistere a uno spettacolo live di Simone Cristicchi è un’esperienza che si riesce a provare una sola volta nella vita.

Ad accompagnare l’artista c’era un quartetto flauto/violino/viola/violoncello talmente bravo da far venire la pelle d’oca. Il programma dello spettacolo, in parte recitato e in parte cantato, non prevedeva solamente pezzi di Cristicchi, ma anche grandi classici o semplicemente cover di pezzi più o meno noti.

Il concerto si è aperto con un medley strumentale dedicato a De André e con un’inusuale versione quasi parlata de “l’italiano” di Toto Cutugno. Non pensavo che a un certo punto della mia vita avrei apprezzato quel pezzo. Tra le altre cover, “il disertore” di Boris Vian (nella traduzione di Ivano Fossati), “io che ho avuto solo te” di Sergio Endrigo, “mi sono innamorato di te”, di Luigi Tenco. Per il resto si sono alternati interessanti brani di prosa e canzoni proprie di Cristicchi.

Dopo la serata al Thunder Road, questo piacevole imprevisto ci voleva proprio!

Thunder Road e Marlene Kuntz, pollice verso

Marlene Kuntz

Ieri sera ho avuto il mio primo incontro con il Thunder Road e i Marlene Kuntz, un locale e un gruppo di cui finora avevo solo sentito parlare. Due piccioni con una fava.

La premessa – certamente non delle più allettanti – l’ho avuta con un amico che mi ha detto: “Vai a un concerto dei Marlene Kuntz? Ma tu non c’entri nulla”. Alla mia domanda sul genere del suddetto gruppo, poi, non ha saputo rispondere. Dopo averli sentiti, ho deciso che trattasi di “rock melodico”, abbastanza inflazionato. Tuttavia – diamo a Cesare quel che è di Cesare – forse non era così inflazionato quando il gruppo si è formato, alla fine degli anni Ottanta.

Le locandine davano il concerto alle 23. Siamo arrivati alle 22.55 per scoprire che in realtà sarebbe stato alle “23.30 puntuali”. È iniziato alle 0.20. Cominciamo male, molto male.

Il peggio è stato il cartello fuori dal locale, che recitava: “Ingresso libero, consumazione obbligatoria 10 euro”, mentre le locandine, evidentemente vittime della sintesi, riportavano solo le prime due parole: “Ingresso libero”. A casa mia, questa scelta imprenditoriale si chiama “Ingresso 10 euro, consumazione compresa”, oppure “Ingresso libero, uscita a pagamento”, altrimenti sembra proprio una cosa del tipo “Ingresso libero per pagare meno SIAE e consumazione obbligatoria 10 euro per incassare ugualmente”. Mi informerò per sapere se questa tattica è legale.

Anche il metodo di “controllo” era inutilmente complicato:

  • all’ingresso si viene forniti di un bigliettino con scritto “consumazione obbligatoria”;
  • il bigliettino deve essere convertito alla cassa (dentro il locale) in altri due bigliettini, uno per la consumazione e uno per l’uscita;
  • quello per l’uscita deve poi essere convertito (all’ingresso) in un timbro sulla mano, che serve per potersi muovere liberamente dentro e fuori dal locale.

Non capisco, tra l’altro, come il locale si sarebbe comportato se io, al termine del concerto, fossi voluto uscire senza consumare. Mi trattenevano finché non pagavo i 10 euro? Chiamavano il 112? E se lo chiamavo io accusandoli di sequestro di persona?

Misteri della vita mondana…

Il concerto è stato di medio livello. L’audio non era ottimo e non si capiva una parola di quello che dicevano; il che, considerando che è un gruppo italiano, non è bello. A un certo punto si sono anche bloccati all’inizio di una canzone; il cantante si è scusato: “ho sbagliato, chiedo perdono, sono cose che capitano”. Dubbio feroce su questa frase: un musicista di medio livello, quando sbaglia, di solito si raccapezza senza interrompere tutto il gruppo, no?

Finito il pezzo, cambio delle chitarre – in tutto il concerto è capitato almeno 3/4 volte -, come una valletta al festival di Sanremo farebbe col vestito. Azzardando un giudizio bipartisan, direi che i Beatles e i Rolling Stones non cambiavano le chitarre 3/4 volte durante un concerto.

D’altra parte, facendo mia una frase di Frankie Hi-Nrg, se le vallette del festival di Sanremo sono il vestito che hanno, è possibile che un gruppo sia gli strumenti che suona.