I mille fork dei Bitcoin

(immagine presa da reddit, modificata dall’originale di xkcd)

Ho iniziato a sentire parlare di bitcoin nel lontano 2010, quando ancora nessuno se li filava e – soprattutto – quando ne avrei potuto comprare a migliaia per un prezzo irrisorio e ora non sarei qui a scrivere sul blog ma vi saluterei da una spiaggia caraibica. Purtroppo sono qui.

Non mi perderò a spiegare cosa sia il bitcoin perché al lettore che non dovesse saperlo sconsiglio vivamente di andare avanti in questo articolo.

Si parlerà infatti di fork, un termine informatico molto tecnico che si usa per definire la separazione di un progetto in due progetti distinti, che prendono ognuno la sua strada. Per fare una similitudine, un fork può essere rappresentato da una parte dei dipendenti di un’azienda che abbandona quest’ultima per fondarne una propria, molto simile alla precedente ma con qualche differenza (che normalmente motiva la scissione). Un fork famoso nell’informatica quotidiana è stato quello che ha portato alla nascita di LibreOffice nel 2010, che si è separato da OpenOffice.

Anche il bitcoin, essendo un oggetto informatico, può subire un fork e separarsi in due valute distinte, ognuna delle quali prende la propria strada. La domanda che può sorgere spontanea è: perché fare un fork quando è possibile creare una nuova moneta da zero con le caratteristiche richieste? La risposta è semplice: fare un fork dà automaticamente visibilità alla nuova moneta (che quindi non si perde tra le più di 1300 in circolazione) perché chi possedeva bitcoin prima del fork si ritrova con, in aggiunta, una certa quantità della nuova moneta appena creata. È come lanciare sul mercato un prodotto che ha già milioni di utilizzatori. Comodo, no?

Ovviamente nessuno si è interessato di fare fork di bitcoin finché questo non è diventato famoso, tanto da popolare le prime pagine dei giornali di tutto il mondo: nonostante il bitcoin abbia già più di 8 anni, il primo fork risale infatti solo all’estate scorsa, e ha dato vita a Bitcoin Cash.

La moda poi si è sparsa in giro per la rete, e ora esistono molte monete nate dalla scissione del bitcoin. Come detto, tutti gli utenti che possedevano una certa quantità della moneta elettronica al momento del fork si troveranno in saccoccia anche un certo quantitativo (spesso uguale) di quella nuova.

Vediamo una rapida carrellata degli ultimi fork di una certa importanza (ce ne sono stati altri rispetto a quelli elencati, ma non hanno riscosso particolare successo).

Bitcoin Cash. È il primo della serie, avvenuto il primo agosto 2017, a partire dal blocco 478559 della catena di blocchi del bitcoin (la famosa blockchain). Motivo della scissione è stata la necessità di aumentare la dimensione dei blocchi della catena, che in pratica permette di poter registrare le transazioni più velocemente, senza dover aspettare tempi ormai geologici, dovuti all’intasamento dell’uso del bitcoin per via della celebrità crescente.

Bitcoin Gold. Avvenuto il 24 ottobre 2017 al blocco 491407, il Bitcoin Gold è stato sponsorizzato come un modo per riportare il mining (ovvero il calcolo necessario a trovare nuovi bitcoin) di nuovo nelle mani degli utenti, rendendo obsoleto tutto l’hardware costruito appositamente per risolvere il problema matematico necessario nel bitcoin (chiamato ASIC).

Bitcoin Diamond. Avvenuta il 24 novembre 2017, al blocco 495866. Ha la caratteristica chiave di offuscare la quantità di moneta presente in ciascun indirizzo (nel bitcoin e in gran parte dei fork le informazioni sulle transazioni e sui saldi dei singoli “conti” sono pubbliche); inoltre decuplica il numero di unità disponibili, con la conseguenza che chiunque abbia un bitcoin prima del fork si ritroverà 10 Bitcoin Diamond.

United Bitcoin. Scissione del 12 dicembre 2017, al blocco 498777. Ha aggiunto al protocollo originale la possibilità di registrare contratti (come già avviene in Ethereum, una moneta virtuale nata proprio con questo scopo, che però non lavora sulla stessa catena di blocchi del bitcoin).

Super Bitcoin. Fork molto vicino al precedente, avvenuto il 12 dicembre 2017, al blocco 498888. Vuole mettere insieme tutte le caratteristiche degli altri fork (anonimato, registrazione contratti, scalabilità, ecc.), che però verranno introdotte in successive modifiche durante il 2018.

SegWit2X. Fork molto discusso e rimandato più volte, avvenuto infine il 28 dicembre 2017 al blocco 501451. Prevede molte modifiche al protocollo originale, come l’aumento della dimensione dei blocchi, il cambio di algoritmo (da ASIC a X11) e alcuni interventi molto tecnici che esulano dallo scopo di questo articolo.

Se vi sembrano tanti, sappiate che questi sono solo i più importanti (ovvero quelli già inclusi in CoinMarketCap). Ce ne sono altre decine, che i più curiosi possono trovare sull’apposita pagina di Wikipedia.

It’s over, iFixit?

Ho sempre acquistato/usato volentieri prodotti Apple, perché durano di più, sono più pratici e funzionano meglio. Inoltre, anche se è un fattore marginale, sono… belli!

Tuttavia, una delle politiche che sempre ho criticato dell’azienda di Cupertino è stato il suo essere poco ecologica. Già nel 2006 Greenpeace aveva lanciato la campagna “Green my apple“, in maniera peraltro molto soft se confrontata con le usuali campagne dell’associazione, per sottolineare la stima di Greenpeace verso l’azienda americana. All’epoca, Apple sembrava aver colto il problema, e si era premurata di predisporre una pagina web che spiegasse quanto i suoi dispositivi fossero “green”.

Quindi mi è crollato un mondo quando ho visto l’home page di iFixit, un popolare negozio online dove si possono trovare manuali per disassemblare i vari dispositivi Apple nonché i pezzi di ricambio che possano allungare la vita a un iPhone con lo schermo rigato, a un Mac con una batteria poco durevole e così via. Sarebbe stato acquisito da Apple!

Poi, però, ho letto lo slogan in prima pagina e non ho più avuto dubbi:

Why “fix it yourself”when you can upgrade? No need to waste time repairing your Apple device. Upgrade it instead. With iFixit’s help, there will always be a newer, better device for sale. (Perché aggiustarselo per conto proprio, quando puoi aggiornarlo? Non c’è bisogno di perdere tempo per riparare il tuo device Apple. Aggiornalo, invece. Con l’aiuto di iFixit, ci sarà sempre in vendita un dispositivo più nuovo e migliore)

Buon primo aprile a tutti!

iOS 5 domato

Finalmente dopo mesi di attesa è “caduta” sotto i colpi degli hacker anche l’ultima versione del sistema operativo mobile di Apple. Da oggi è disponibile infatti sul blog dell’iPhone Dev Team la nuova versione 0.9.10b3 di redsn0w con cui è possibile eseguire il jailbreak di tutti quei dispositivi di penultima generazione che “montano” iOS 5. Per ora non sono compresi all’appello il nuovissimo iPhone 4S e la seconda generazione di iPad. Tuttavia pod2g, l’hacker che è riuscito nell’impresa, ha già annunciato sul suo blog che da oggi si metterà al lavoro per domare anche gli iCosi più nuovi.

Eseguire il jailbreak è estremamente facile:

  • Scaricare redsn0w 0.9.10b3 dal blog del Dev Team.
  • Spegnere il dispositivo e collegarlo al computer.
  • Eseguire il software.
  • Quando richiesto, entrare in DFU mode (premere per 3 secondi il tasto di accensione, poi per 10 il tasto home e successivamente rilasciare il tasto di accensione mantenendo il tasto home). È tutto spiegato dettagliatamente nel programma.
  • Installare Cydia.

Dopo il jailbreak, consiglio l’installazione di iBooks Fix per risolvere un problema di compatibilità con iBooks. Si trova facilmente su Cydia aggiungendo http://repo.insanelyi.com alle repository.

Attenzione ai programmi non più compatibili con la nuova versione di iOS. Alcuni di essi potrebbero addirittura bloccare il dispositivo e costringere al ripristino. Ecco un elenco quasi completo dei software che potrebbero dare problemi:

5-Row Keyboard
AlphaCon
BackForwardEnhancer
Backgrounder
Call InfoFields
CameraWallpaper
Celeste Bluetooth File Sharing
Covert
Cyntact
Delete Word
FakeLocation
FolderEnhancer
FoldersInFolders
Homescreen Settings
Home Page in Safari
Icon Renamer
Infinidock
Infinifolders
IntelliScreen
iPicMyContacts
LinkSafe
LiveClock
Lock Calendar
Lockdown Pro
LockScreen Clock Hide
Maps Enhancer
MultiCleaner
MultiExchanges
NoAccessorySplash
Notifier+
OpenNotifier
PhotoAlbums+
PwnTunes
Random Icon Flip
RemindMeLater
Remove Background
RestoreTab for Safari
Safari Download Manager
SBRotator for iOS 4.x
ShowCase
Shrink
Speed for Maps
Springtomize
StartDial
StatusNotifier
StyleUnlock
SwitcherMod
SwitcherPlus
User Agent Faker
Vibrafications
WeatherIcon
Wi-Fi Sync
xBackup
YFiSelect4

La sicurezza è dentro di noi

Spesso le banche ci fanno una testa così (immaginate che io stia mimando “una testa così”) sulle questioni di sicurezza per evitare che malintenzionati entrino nei nostri conti e ci svuotino i risparmi di una vita. Ci sono molti metodi per incrementare gli standard di sicurezza, e i vari istituti di credito li usano a propria discrezione e secondo i propri gusti.

Ma il punto è: cosa possiamo tranquillamente reputare sicuro a prova di bomba?

La prima risposta, data con cognizione di causa, è: nulla! Non esiste la sicurezza perfetta e la storia ce ne dà continuamente prova. Tuttavia ci sono stratagemmi più utili di altri, mentre alcuni sono decisamente dannosi, pur sembrando apparentemente “a prova di bomba”, appunto.

L’esempio lampante di questa in-sicurezza è il conto di risparmio Carige che si chiama Contoconto. Io ne ho aperti addirittura due, perché trovo che sia tra i più convenienti sul mercato, ma sul fronte della sicurezza prende secondo me prende grosse cantonate.

Partiamo dallo username: il nome utente è una sbrodolata incomprensibile di lettere e numeri (per la precisione inizia con due lettere e prosegue con una vagonata di numeri). La domanda è: perché? Per aumentare la sicurezza? Assolutamente no, visto che questa informazione mi viene inviata via e-mail, quindi attraverso un canale che, di solito, è potenzialmente insicuro. Inoltre, data la complicatezza del login è molto probabile che io conservi quella mail o, peggio ancora, mi segni questo numero da qualche parte.

Stesso discorso per quanto riguarda la password: una sbrodolata di numeri, inviati la prima volta via SMS. Anche in questo caso, nel migliore dei casi conservo l’SMS sul mio cellulare, ma nel peggiore, di nuovo, me la segno da qualche parte. È come avere una porta ultra-blindata a casa, per poi lasciare la chiave sotto lo zerbino per paura di dimenticarla. Dulcis in fundo: la password non è modificabile.

La sicurezza migliore, e questo le banche forse ancora non l’hanno capito, è far scegliere all’utente certi dati più riservati, ponendo al massimo condizioni che evitino che le password siano troppo semplici. Una volta imposta all’utente una password con maiuscole, minuscole, numeri e simboli, questo è probabile che non abbia bisogno di segnarla perché l’ha creata da solo, e inoltre non ha necessità di conservare una mail o un SMS con l’informazione, perché tale messaggio non è mai esistito!

Persino i produttori di sistemi antifurto hanno capito il vantaggio di questi sistemi. Fino a qualche anno fa, quasi tutti i sistemi antifurto funzionavano tramite una chiave “fisica” (elettronica o meno, era comunque fisica e, in quanto tale, perdibile) che serviva per attivare e disattivare il sistema. Ora tutto funziona tramite codice numerico, rendendo impossibile per un malintenzionato “rubare” la chiave al legittimo possessore.

Un ottimo esempio di online banking molto attento a questo tipo di problemi è Fineco, in cui tutte le password sono a discrezione dell’utente. Ho un conto presso questa banca e non ho scritto in nessun luogo quali siano queste password. Mi possono rubare il computer, il cellulare o l’agenda, ma non avranno mai i miei dati bancari. Più sicuro di così…

Goodbye /2

Dopo Jobs, un altro dei grandi dell’informatica ha lasciato questo mondo. Si tratta di Dennis Ritchie, co-fondatore di Unix e diventato celebre per aver inventato il linguaggio di programmazione C.

 /* For Dennis Ritchie */ #include <stdio.h> void main ( ) { printf("Goodbye World n"); printf("RIP Dennis Ritchie"); }

@iRajanand tramite Kevin Mitnick.

Una timeline per Facebook

In una presentazione in pieno sile Jobs (ma Steve è meglio), Mark Zuckerberg ha presentato oggi la nuova interfaccia di Facebook. Qualcuno penserà che ormai il celebre social network cambia una volta al mese, ma questa volta sembra che le modifiche siano radicali. Nell’homepage del nostro profilo una grande fotografia che ci “rappresenti”, mentre sulla destra, una “timeline” attraverso cui possiamo “viaggiare nel tempo” e rivedere post, fotografie e in generale cazzeggi del nostro passato.

Falsi positivi su eMule

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eMule è un gran software per scaricare materiale di ogni tipo. Su eMule si trova davvero di tutto, anche se ultimamente la sua fama è notevolmente scemata a favore di soluzioni più pratiche come Megavideo o i vari siti di hosting di file.

Tuttavia il bello dell’amato muletto è che si genera automaticamente dalla rete, e non ha bisogno più di tanto di un ruolo attivo dell’utente: basta che una qualsiasi persona ottenga il file in qualche modo per innescare un circolo virtuoso che fa sì che il file si diffonda velocemente nella rete.

Tuttavia, uno dei grossi problemi di eMule è la grandissima quantità di falsi positivi. Se provate a cercare il titolo di un filmato qualunque su eMule, troverete tantissimi falsi positivi (solitamente porno) tanto più che il filmato è famoso in rete.

Tuttavia ci sono alcuni accorgimenti che possono aiutare a scegliere bene quale sia il file giusto.

Supponiamo ad esempio di voler scaricare un file video la cui durata è 135 minuti. Ora, cercando con eMule il titolo di quel video troveremo centinaia, se non migliaia di risultati. Il trucco sta quindi nello scegliere il video correttamente basandosi sul tempo, proprietà che il muletto inserisce in una colonnina del campo di ricerca. Scegliamo quindi i filmati che durano all’incirca il tempo cercato (2h15) e il gioco è fatto!

Touch? No, Swype!

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Quando si scrivevano gli SMS usando le letterine disegnate sui tasti, di certo nessuno poteva pensare che con i 12 tasti del cellulare si sarebbero potute oltrepassare le frontiere del tocco multiplo su un tasto per poter fare la terza lettera. E invece ci siamo sbagliati, e il T9 ce l’ha dimostrato.

Ora, nell’epoca dei touch screen in cui ormai sia l’uno che l’altro metodo stanno diventando obsoleti, nessuno potrebbe immaginare qualcosa di più comodo rispetto alla tastiera a schermo cui Apple prima e tutti gli altri dopo ci hanno abituati.

Invece ecco spuntare Swype, un nuovo brevetto americano che prevede, come dice il nome, una strisciata per scrivere una parola. Secondo le statistiche (loro), dopo un po’ di allenamento si raggiungono 40 parole al minuto, pur sempre sotto alla tastiera tradizionale, ma molto meglio dei touchscreen attuali.

Il leone si è addormentato

Lion

Come ogni Mac addicted che si rispetti, appena è uscita la nuova versione del sistema operativo Apple non ho saputo resistere e l’ho comprato-scaricato-installato.

Tuttavia, come ogni Mac addicted razionalmente sa, ogni volta che esce un nuovo prodotto Apple bisogna sempre stare attenti agli inevitabili problemi che purtroppo esistono e regolarmente vengono scoperti solo successivamente al rilascio.

Nel mio caso mi sono scontrato con tre di questi, di cui due già felicemente risolti.

  • Nel tentativo di creare un network wireless con l’apposita opzione “Crea network” mi viene restituito un fantomatico “Errore di connessione”. Soluzione semplice ed efficace: da questa versione l’ESSID della rete creata non può contenere spazi, ma deve avere un nome informaticamente sensato.
  • Le presentazioni di Keynote non funzionano più a schermo intero con la scheda video “figa” (mentre paradossalmente funzionano con quella integrata). Soluzione: aggiornare iWork alla versione 9.1 tramite l’Aggiornamento Software di Mac OS X.
  • Disk Utility non riconosce più i CD e DVD riscrivibili. Pur leggendoli regolarmente, non riesce più a cancellarli. La relativa opzione “Inizializza” è infatti vuota e nelle informazioni viene visualizzato “Sola lettura”. Questo problema, pur non avendo allo stato attuale delle mie conoscenze una soluzione efficace, può essere aggirato tramite l’utilizzo di un software di terze parti, come Roxio Toast.

Detto questo, Lion è davvero un ottimo sistema. Forse, però, sarebbe stato meglio aspettare qualche giorno per aggiornare.

Integrare i vostri font nelle pagine web

Spesso i programmatori di pagine web si scontrano contro l’annoso problema dei font, ovvero gli stili di carattere. I clienti, infatti, sono spesso stufi dei soliti Tahoma, Verdana, Arial, Times e via dicendo, ma si lanciano in sfide all’ultimo font pretendendo che le loro pagine siano diverse da quelle degli altri.

Ebbene, finalmente il mondo potrà assaporare tutta questa miriade di caratteri tipografici relegati alla stampa per decine di anni. Il nuovo standard CSS3 prevede infatti un comando @font-face, che permette di includere direttamente il file TTF.

Ovviamente i problemi sorgono quando si utilizza Internet Explorer, ma in aiuto arriva Cufón, un piccolo javascript che colma questa lacuna.

Provare per credere.