Gli editoriali light (e come leggerli gratis)

In principio furono gli editoriali. Erano lunghi articoli di ampio respiro che i direttori dei giornali erano soliti scrivere e pubblicare ogni mattina, solitamente nella prima colonna della prima pagina del giornale. Non che siano spariti, eh. Quelli ci sono sempre, solamente che ormai non se li caga più nessuno. Così come in pochi, ormai, comprano i giornali cartacei o – semplicemente – hanno la pazienza di leggere un testo più lungo di un post pubblicato su Facebook.

E così i giornali si sono adeguati, fornendo al lettore una versione “light” di questi editoriali, di dimensione adeguata al nuovo pubblico frettoloso. Il primo è stato La Stampa, con il Buongiorno di Massimo Gramellini (1999). Poi si è involontariamente affiancata La Repubblica, la cui “Amaca” di Michele Serra (2001), ormai campeggia sulla prima pagina del quotidiano romano.

Grande assente, il Corriere della Sera, che fino a qualche mese fa non possedeva nulla di tutto ciò e che, seguendo la filosofia delle grandi aziende americane, piuttosto che partorire una propria idea e rischiare il fallimento ha preferito mettere sul piatto un sacco di soldi e comprarsi l’idea del vicino. Da qualche settimana, Massimo Gramellini si è accaparrato la prima pagina del giornale di Via Solferino, sostituito sulla Stampa dall’ottimo Mattia Feltri.

La cosa divertente è che, mentre la rubrica di Michele Serra ha una sua identità nel sorridere di vizi e virtù degli italiani, le rubriche di Feltri e Gramellini sono praticamente identiche (in sostanza, raccontare e commentare un fatto del giorno precedente in luce positiva): da una parte La Stampa non voleva cambiare un format di sua invenzione, dall’altra il Corriere voleva vincere facile e ha detto a Gramellini di fare al Corriere quello che per quasi 20 anni aveva fatto alla Stampa, senza cambiare una virgola.

È così successo quello che stavo aspettando da tempo, cioè che i due giornalisti a un certo punto si sovrapponessero sulla medesima notizia: Il giudice e la bambina e Reato di anzianità (pubblicati entrambi il 14 marzo) sono quasi l’uno la copia dell’altro. Anche oggi i due articoli hanno sfumature simili, lodando il mondo digitale e i social network come salvatori delle generazioni future.

Al di là degli aspetti divertenti della questione, non nego che i tre articoli tutte le mattine mi allietano il risveglio (mi danno il Buongiorno, nomen omen). Non secondaria – anzi, fondamentale – è la buona notizia: tutte e tre le rubriche possono essere lette gratuitamente su internet. Anzi, ufficialmente due: il Buongiorno di Mattia Feltri è addirittura rilasciato con licenza libera Creative Commons, pertanto può essere condiviso e citato; l’Amaca di Michele Serra è disponibile sulla sua pagina Facebook.

Un discorso a parte merita il Caffè di Massimo Gramellini, che è disponibile sul sito del Corriere, ma con alcune limitazioni navigando dallo smartphone. Dopo 10 visite al sito, infatti, iniziano a comparire banner per cui occorre registrarsi e pagare un abbonamento mensile. È comprensibile che il Corriere voglia rientrare del gigantesco investimento, però far pagare nel 2017 un abbonamento per leggere un sito è anacronistico come scommettere su una gara di bighe. Comunque il trucco è semplice: navigando sul sito del Corriere in “modalità incognito” (in Google Chrome) o “anonima” (in Firefox) il banner sparisce e gli articoli diventano tutti leggibili gratuitamente all’infinito.

Meno imposte di bollo per tutti

Chiedo scusa ai miei 25 lettori se sono stato un po’ assente, ma il clima vacanziero ha divorato il mio tempo libero!

In questi giorni sto ottimizzando un po’ la burocrazia che invade la mia vita, un po’ per risparmiare e un po’ per avere meno garbugli in testa. Per esempio, i conti in banca: alcuni aperti per comodità, altri per obbligo, altri per offerte varie, alla fine mi sono trovato con un sacco di conti riempiti ciascuno con pochi spiccioli. Un po’ come avere tanti telefonini e non aver nessuno da chiamare: meglio scegliere un solo cellulare e portarsi dietro quello (o trovare qualche amico in più).

In particolare, oggi volevo chiudere il conto Hello Bank, aperto in un momento in cui la banca pubblicizzava offerte da capogiro (iPad gratis se apri il conto e accrediti lo stipendio per almeno un paio di mesi), e speranzoso di utilizzarlo poi da un punto di vista operativo. Purtroppo l’interfaccia web scadente e l’utilizzo intensivo dell’OTP (one-time password) mi hanno fatto desistere. Inoltre sono rimasto molto deluso quando ho pagato un F24 tramite il sito e ho potuto scaricare la ricevuta di tale pagamento solamente dopo 20 giorni. Un conto online dalle tempistiche offline. Ora una piccola digressione che può dire molto sull’affidabilità del conto. Quanto ho telefonato perché il link per scaricare la ricevuta continuava a non comparire, si sono scusati e mi hanno detto che mi avrebbero inviato il documento via mail, dietro sillabazione della mia password per telefono all’operatore che mi aveva risposto. Ma stiamo scherzando? E se usassi quella password anche per altri servizi? Come faccio a sapere che quell’operatore (essere umano, pensante e quindi potenzialmente stronzo) non la userà per provare a entrare nel mio account Facebook o nella mia posta elettronica, se per caso ho avuto la – stupidissima – idea di usare la medesima password per più di un servizio? E comunque, cosa più importante: invece di istruire gli utenti che la password non deve mai essere divulgata a nessuno per nessun motivo me la vieni a chiedere per telefono? Insomma, ramanzina in diretta per l’operatore e l’acquisizione della consapevolezza che Hello Bank è gestita da persone inesperte. D’altra parte basta guardare l’interfaccia per gestire il conto per capire che chi l’ha creata non aveva la minima intenzione di utilizzarla per davvero. Fine della digressione.

Volevo chiudere il conto, si diceva. Faccio il login e vado in giro per cercare una FAQ (che trovo) sulla procedura per farlo. Nel mentre, noto che non mi è stato addebitato l’usuale obolo di 8.55 euro trimestrali per il pagamento dell’imposta di bollo, in sostanza una tassa dovuta allo stato per il solo fatto di avere un conto in banca (un po’ come il bollo per l’automobile). Ho cercato su internet, per scoprire la fantastica verità: grazie alla legge salva-Italia (del 2012, la ricordate?), l’imposta di bollo si paga solo sui conti che – mediamente – contengono almeno 5mila euro. Wow!

Innanzi tutto mi si è automaticamente risolto un problema: invece di chiuderlo, è più pratico svuotarlo e lasciarlo abbandonato.

In secondo luogo, mi sono chiesto: ma quindi se io apro un tot di conti senza canone (tipo quelli online) e suddivido lì il mio patrimonio non devo pagare nulla? Purtroppo no. O meglio: sì, ma con alcune limitazioni. Una di queste riguarda i conti nella stessa banca: se il totale dei soldi contenuti nei conti di uno stesso gruppo bancario supera la fatidica soglia, la tassa va pagata ugualmente. Per fortuna però in Italia non siamo certo a corto di banche; e per sfortuna non ho così tanti soldi da incamerare per cui non mi bastano le banche. Basta creare conti diversi nelle diverse banche online (per esempio la già citata Hello Bank, ma anche l’ottima Fineco, la gialla CheBanca!, l’arancione Ing Direct e chi più ne ha più ne metta), stando attenti ai gruppi di appartenenza. In questo modo, si può evitare di pagare una tassa senza infrangere alcuna legge. Sì, lo so, sembra una cosa stranissima, ma a volte questa magia si realizza anche in Italia.

In soldoni (gioco di parole), per ora ‘sto conto lo tengo.

Una vita in più

Il nostro corpo è una macchina meravigliosa: complessa tanto quanto basta per poter affermare con certezza che non ne esistono due uguali. Tuttavia, come accade per ogni struttura elaborata, è soggetta ad alcune criticità che ne possono compromettere il funzionamento, a volte in maniera definitiva. E questa è la principale proprietà che differenzia l’essere biologico da quello meccanico: il primo non può essere ripristinato in alcun modo, una volta che se ne è decretato il decesso.

La letteratura medica parla di tre pilastri fondamentali che – se mancanti – richiedono un intervento urgentissimo perché possono degenerare velocemente: coscienza, respiro e circolo. Andando più nei dettagli, ci sono alcune operazioni molto semplici che, se conosciute e utilizzate al momento opportuno, posso realmente fare la differenza tra la vita e la morte.

Per quanto riguarda la coscienza, in realtà questa di per sé non porta necessariamente a una situazione rischiosa (quando dormiamo siamo incoscienti, ma non stiamo rischiando nulla); tuttavia, l’incoscienza può causare effetti collaterali ad altissimo rischio, come per esempio uno svenimento durante una nuotata in piscina o in concomitanza con un conato di vomito. Per questo motivo esiste la posizione laterale di sicurezza: semplice da adottare qualora ci si trovi in presenza di una persona incosciente, purché si sappia che esiste.

Passando al respiro, invece, è palese che una sua interruzione può provocare un rapido decesso. Il caso repentino di interruzione di respiro più comune è quello causato dall’ostruzione delle vie aeree, quando cioè un corpo presente nella nostra bocca “va nel buco sbagliato” e invece di finire nello stomaco si blocca nella nostra trachea. In questo caso, esistono almeno due manovre da adottare.

  • La prima (detta di Heimlich) tenta di espellere il corpo estraneo da dove è entrato (la bocca) tramite una serie di pacche sulla schiena seguite da una serie di compressioni sotto lo sterno. Va adottata solamente quando le vie aeree sono completamente bloccate: finché si tossice, infatti, significa che l’aria passa ancora e non occorre fare nulla (nemmeno le usuali pacche sulla schiena della nonna: rischiano solo di peggiorare la situazione).
  • La seconda, da usare in caso di fallimento della prima, è il classico massaggio cardiaco (vedi sotto), che tenta di muovere il corpo verso una delle due direzioni possibili, tramite l’alternanza di compressioni sul torace e insufflazioni (respirazione bocca a bocca): se il corpo non riesce a uscire dalla bocca tramite le prime, si spera che si infili in uno dei due bronchi con le seconde, lasciando l’altro bronco libero di respirare.

Infine, il circolo. Anch’esso fondamentale per la vita, può essere interrotto in due modi: un problema al cuore e una emorragia. Se si pensa alla circolazione sanguigna come all’impianto idraulico di una casa, è chiaro che l’acqua può mancare se si interrompe la fornitura a monte (cuore) oppure se si spacca un tubo (emorragia).

  • Nel primo caso, si esegue il massaggio cardiaco (quello che si vede spesso nei film) alternando compressioni sul torace e insufflazioni: le prime simulano il battito cardiaco e inviano il sangue agli organi che ne hanno bisogno; le seconde simulano il respiro (che in caso di arresto si interrompe dopo pochi minuti) e permettono al sangue in circolo di essere ossigenato. Vale la pena ricordare che il sangue non è altro che il modo che ha il corpo per distribuire l’ossigeno agli organi, pertanto le sole compressioni risulterebbero inutili perché porterebbero sangue scarico.
  • Il caso dell’emorragia è invece paradossalmente più semplice: se c’è un buco nel tubo, basta chiudere il tubo e impedire che il liquido esca. Fuor di metafora, per interrompere una emorragia causata da una ferita è sufficiente (almeno nei casi più fortunati) premere su di essa per limitare l’uscita di sangue.

Quattro manovre, nemmeno troppo difficili: il prezzo da pagare è solo impararle, e ripassarle ogni tanto. Se le nostre istituzioni scolastiche si occupassero anche di questo e insegnassero le basi del primo soccorso, come già accade in altre realtà europee, al prezzo di qualche ora di storia o letteratura vivremmo tutti più tranquilli.

Ah, la pubblicità

(Credits immagine: Vice Italia)

C’erano tempi in cui ogni tanto ti chiamavano per proporti qualche offerta commerciale. Purtroppo quei tempi sono finiti, non tanto perché ora non chiamano più, bensì per il motivo opposto: chiamano troppo.

Per questo motivo, nel 2010 il Governo Italiano ha creato il Registro delle opposizioni. Ciascun utente, registrando il proprio numero su questo registro, di fatto inibisce queste chiamate: un call center che voglia proporre offerte commerciali è tenuto a consultarlo prima di chiamare un numero, pena… nulla! Come sempre.

Nonostante io sia registrato a questo servizio da quando esiste, continuo a ricevere le noiose telefonate. All’inizio ero solito ascoltare, poi ho iniziato a dire gentilmente che la telefonata costituiva un illecito, poi sono passato all’insulto, ora semplicemente riattacco. E salvo il numero. Sì, perché la legge dice anche che le telefonate di tipo commerciale non possono arrivare da un numero sconosciuto. Qualcuno potrà dire – in base alla propria esperienza – che nemmeno questo accade, e avrebbe ragione. Tuttavia le chiamate da numero privato sono sempre meno, e possono essere identificate facilmente attuando la policy di non rispondere (cosa che faccio io, lo sottolineo, così chi mi chiama da un numero privato sa perché non rispondo).

In questi anni, ho raccolto un discreto elenco di numeri di call center, che sul mio cellulare risultano bloccati: vorrei condividere questo elenco col mondo.

  • +39 02 91717963
  • +39 06 5234000
  • +421 905 980 837
  • +39 0984 1813200
  • +39 06 77788821
  • +39 334 1783204
  • +39 079 65896
  • +39 390 7965896
  • +39 055 12580
  • +39 055 05651
  • +39 055 12468
  • +39 06 91717963
  • +39 0931 45258
  • +39 011 2272094
  • +39 02 37901337
  • +39 0321 05423
  • +39 390 58615805
  • +39 055 3477890
  • +39 02 370704
  • +39 327 2614197
  • +39 0536 12469
  • +39 0744 56650
  • +39 0536 12548
  • +39 0183 25452
  • +39 0183 54755
  • +39 0171 45233
  • +39 070 0993385
  • +39 02 8877293
  • +39 346 7839954
  • +39 334 6134049
  • +39 0575 1656694
  • +39 045 6892
  • +39 06 449100
  • +39 342 5906416
  • +39 02 6855369
  • +39 02 45467864
  • +39 070 7348115
  • +39 393 333256580
  • +39 02 29532355
  • +39 06 97626255
  • +39 02 45901003
  • +39 06 94808988

Dal riciclo al riuso

La plastica è comoda, e su questo (purtroppo) non c’è alcun dubbio. Però il suo utilizzo indiscriminato è una piaga della nostra società, che nessuno è ancora riuscito a contrastare. Io ho un’idea, che vorrei venisse discussa, per capire se è fattibile oppure no.

Attualmente compro quasi sempre bibite in bottiglia di vetro in una catena di supermercati che utilizza sistemi di vetro a rendere. L’idea è semplice: io compro la bibita a 75 centesimi, la consumo, poi riporto il vetro e mi vengono restituiti 15 centesimi. Il sistema è paradossalmente ancora migliore del riciclaggio, perché fa sì che la medesima bottiglia venga usata più volte. Essendo poi in vetro, ha una vita praticamente eterna. Le persone più vetuste sogghigneranno nella consapevolezza che il sistema era ampiamente utilizzato prima della diffusione a basso costo della plastica: spesso tornare sui propri passi non è sinonimo di arretratezza, ma di ammissione che una certa direzione si è rivelata sbagliata.

Il nemico della diffusione di questa idea è che il vetro pesa, e il lavaggio costa. Più di quanto non costi imbottigliare nella plastica. Ecco quindi la proposta.

  • Le bottiglie di plastica devono venire tassate in una misura che ne parifichi il prezzo con l’uso del vetro (possibilmente a rendere). Chi vuole acquistare la plastica per praticità (magari per fare una festa in un luogo distante dal supermercato dove acquista la bevanda) può continuare a farlo, con un piccolo sovrapprezzo.
  • L’azienda che produce bibite *deve* obbligatoriamente fornire (almeno oltre una certa capacità del contenitore, per esempio un litro) anche l’alternativa in vetro, possibilmente a rendere.

Vantaggi:

  • Il primo punto garantisce un introito (per lo stato e/o l’ente pubblico) utilizzabile per i costi di riciclo/smaltimento della plastica.
  • Il secondo punto garantisce al consumatore la possibilità di fare una scelta consapevole: se compro le bevande per l’uso quotidiano, posso usare il vetro; se invece mi serve al volo la praticità (indubbia) della plastica, posso continuare a usufruirne, ma a un prezzo maggiorato.
  • Sarebbe incentivato l’utilizzo di acqua del rubinetto, poiché il costo dell’acqua in bottiglia di plastica, ora molto basso, diventerebbe meno sostenibile.
  • La legge sarebbe a svantaggio più delle grandi aziende (praticamente monopoliste, come Nestlè per l’acqua, Coca-cola per le bibite, ecc.) rispetto alle piccole, che più probabilmente stanno già usando sistemi di vetri a rendere.

Non è niente di diverso rispetto a quello che già viene fatto per fumo e alcool: siccome esistono delle conseguenze, è giusto che l’acquirente si prenda carico delle spese. Che si tratti di costi medici o ambientali, sempre di costi si parla.

Update. Ho appena scoperto che alcuni supermercati hanno testato il sistema del vuoto a rendere anche per la plastica. [Il Fatto Alimentare]

Se questa è libertà

Ieri sera, al Festival di Sanremo, Adriano Celentano ha detto come al solito la sua. Tutti a lamentarsi, indignarsi, criticare. Come se non si sapesse già.

Purtroppo mi sono perso questo gioiello di televisione italiana, perché ieri sera avevo un altro impegno. Poco male: grazie al servizio Rai Replay del sito www.rai.tv posso riguardarmi la puntata per intero e farmi un’idea personale del discorso del Molleggiato. E invece no: mamma Rai, la televisione di stato che dovrebbe fare della libertà di espressione la sua peculiarità, ha rimosso quella parte di Festival. Non so se sia una questione contrattuale con Celentano o una scelta “politica”, ma sta di fatto che nel video di Rai Replay quella parte manca del tutto. D’altra parte una Irene Fornaciari alle 22.05 e subito dopo una Emma alle 23.19 fanno pensare a un impercettibile buco.

Del fattaccio si possono dare molti giudizi: che Celentano è un ignorante e dovrebbe cantare invece che parlare; che il Festival non è un talk show ma una gara canora; che la libertà di stampa impone che ciascuno pubblichi quello che vuole e che nessuno dovrebbe chiedere la chiusura di un giornale.

E invece hanno chiuso la bocca di chi l’ha detto, così si capisce chi dei due (da una parte Celentano, dall’altra la Chiesa) è più forte. Questo “editto sanremese” fa venire in mente il predecessore “bulgaro” di qualche anno fa: anche in quel caso c’era in ballo un gioco di poteri, che portarono alla conclusione opposta.

Evviva le agenzie!

Quante volte capita di leggere un articolo online e pensare: “Caspita, questo l’ho già letto”?

A me parecchie. E sempre più spesso, devo dire.

Oggi, per esempio, ho letto la scheda della Stampa sulla Costa Concordia, la nave da crociera affondata nella notte presso il Giglio. Nel peregrinare tra i vari quotidiani, trovo lo stesso articolo sul Fatto Quotidiano. Non simile, bensì identico.

Cerco quindi una frase tra virgolette su Google (cercare tra virgolette significa chiedere a Google di trovare la frase per intero), e mi escono decine di risultati. Ora la sfida è capire chi davvero ha scritto quel pezzo.

La legge del contrappasso

Questa sera la televisione italiana ha messo alla prova sé stessa. Si è guardata indietro, e ha riscoperto che nei difetti del passato si trovano le idee per andare avanti. Mi sto riferendo, ovviamente, al nuovo programma di Michele Santoro, Servizio Pubblico, in onda questa sera si vari media.

Nel 1984 tre preture (Torino, Pescara e Roma) intimano le neonate reti Mediaset di sospendere le trasmissioni, perché utilizzavano un network di ripetitori tali per cui riuscivano a coprire tutto il territorio nazionale. All’epoca, solamente la TV pubblica aveva questo privilegio. Nel 1990, inoltre, per venire incontro alle direttive europee (ma soprattutto per agevolare la crescita inarrestabile dell’attuale Mediaset), il governo ha approvato la famosa Legge Mammì, che di fatto permetteva alle televisioni private di trasmettere in diretta, altra prerogativa riservata alla RAI.

Dopo quasi 30 anni dagli inizi della televisione privata in Italia, il sistema si è ribaltato e chi vuole andare in televisione e parlare di argomenti “scottanti” deve appoggiarsi, appunto, a network di televisioni private. Oggi c’è anche internet che dà una mano, ma il succo non cambia.

La fuga dei ribelli

Visto che in rete non si parla d’altro, torniamo alla “legge bavaglio”.

Tra l’altro è buffo come in Italia si tenti di fare i furbi persino nell’atto di scrivere le leggi. Questa norma tanto contestata era pensata per limitare l’utilizzo delle intercettazioni. O, per lo meno, di limitarne la diffusione. Tuttavia poi sbuca fuori, come un coniglio dal cilindro, che nel testo è presente anche un pesantissimo comma per uccidere blog e siti web.

Ma cosa succede se ci trasferiamo all’estero?

Il ragionamento è semplice. In Italia, ad esempio, è vietato fumare nei locali pubblici. Bene. Ora ci trasferiamo in Germania, dove la legge (almeno a quanto ne so) non esiste. Entro in un locale pubblico e mi fumo la mia sigaretta. Può il legislatore italiano fare qualcosa per impedirmelo? No.

Ecco che quindi basta aprire un sito web all’estero per poter nuovamente “infrangere” questa regola. Ma come si fa a sapere se la legge è applicabile? Se un francese apre un blog e scrive una cosa che a Silvio non piace, può essere denunciato in Italia? Esiste una sorta di estradizione informatica? Sono domande, queste, che farò a un avvocato il prima possibile. Se infatti risultasse che un italiano può registrare un dominio all’estero e farsi il proprio sito in barba alla legge, allora direi che l’enorme sforzo di questo pessimo governo potrebbe risultare inutile.

Tra l’altro, per iniziare a rimboccarsi le maniche, ho visto che Tophost sconta del 90% il primo anno di un acquisto di un dominio .eu. Chissà dove si colloca, geograficamente, il dominio .eu. È penalmente perseguibile in Italia?

Nel dubbio, sto procedendo all’acquisto di ziorufus.eu. Consiglio, inoltre, di leggere l’ottimo articolo di commento alla chiusura di Wikipedia sul sito del Fatto Quotidiano.

Update. Ho trovato un articolo molto interessante sul blog di Mario Tedeschini Lalli: http://mariotedeschini.blog.kataweb.it/giornalismodaltri/2011/10/05/wikipedia-auto-oscurata-perche-solo-litaliano-mostruosita-giuridiche-e-paradossi-digitali/?ref=HREA-1. Non che questo articolo dia risposte, ma solleva il medesimo problema espresso in questo post.