Thinking…

Da quando sono a Trento ho ri-scoperto cosa vuol dire avere del tempo libero. Non è tanto una questione di lavoro più leggero (anzi, qui i miei orari sono quasi da ufficio), ma semplicemente di sprecare il meno possibile il tempo che ho a disposizione di sera e nei weekend.

Ieri sera, ad esempio, volevo suonare qualcosa di speciale: “Comptine d’un autre été, l’après-midi”, di Yann Tiersen. Il pezzo è divenuto piuttosto celebre perché inserito nella colonna sonora del film “Il favoloso mondo di Amélie”.

Intelligenza, mezza bellezza?

 

Mi sento un modello. Sì, uno di quei bellocci che si vedono in televisione e per i quali tutte le ragazzine sbavano. Ok, è vero, per me non sbava nessuno, ma solo perché sono capitato nel secolo sbagliato. O forse semplicemente sul pianeta sbagliato. Ma andiamo con ordine.

Oggi mi è arrivata una lettera dell’associazione Mensa Italia con la quale mi si dice che sono intelligente. In particolare, sempre secondo gli psicologi dell’associazione, io apparterrei a quel 2% di popolazione mondiale che ha un QI (quoziente d’intelligenza) maggiore di 130. In realtà questo dato era già in mio possesso, visto che alcuni psicologi del Gaslini avevano stimato il mio QI a 165 quando avevo solo quattro anni. Questa notizia me ne ha dato una conferma più o meno ragionevole.

Perché, però, la storia del modello nel primo capoverso di questo articolo? Perché l’apporto personale a questo tipo di risultati è zero. L’intelligenza, così come la bellezza, è una qualità innata. Il fatto stesso che è stato possibile calcolarla a 4 anni ne è la prova.

Ora, quindi, incassata questa ottima notizia, mi resta quello che io considero il grosso del lavoro: rimboccarmi le maniche e cercare di non buttare nel cesso ciò che – non per merito mio – mi è permesso di possedere.

Ciao Giorgio

Ogni volta che qualcuno muore, mi viene in mente “Preghiera in gennaio” di Fabrizio De André. È una canzone che parla di morte e di religione. Le due cose vengono sempre associate, perché l’oppio dei popoli serva ad attenuare il dolore e ad accettare che tutto questo abbia un senso.

Oggi ci ha lasciato Giorgio Daledo, un uomo che ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare durante la mia esperienza universitaria e collegiale. Una moglie e tre figlie distrutte dal dolore, e una comunità che ancora stenta a crederci. Lo ha divorato in meno di due mesi una malattia tanto fulminea quanto inaspettata. Quando queste cose capitano a 90 anni, si accettano, ma quando capitano a 54 appena compiuti la rabbia è troppa. Troppa per pensare che dopo ci sia qualcosa di bello, troppa per pensare che “le vie del Signore sono infinite”.

Per fortuna di lui conservo ancora il ricordo forte di una bella amicizia. E non ci sarà ideale o dio che riuscirà a cancellarlo.