Dare le lettere

Lettere

Con tutte queste sigle, alla fine qualcuno si confonde. E qualcun altro ci frega.

Già Beppe Grillo notava che, volenti o nolenti, i due partiti maggiori (Partito Democratico e Popolo della Libertà) hanno sigle molto simili: PD e PDL. Così come erano simili i rispettivi programmi di governo, più attenti alle poltrone e ai “potenti”, piuttosto che di tutti quei cittadini che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese.

Oggi il dilemma delle lettere si ripete: decreto legge o disegno di legge? DL o DDL?

Tutto è iniziato con la famosa bagarre sulle intercettazioni: il tema “scottante” è stato presentato al Quirinale oggi sotto forma di decreto legge e non di disegno di legge.

Esaminiamo ab ovo il nostro sistema di governo per capire quanto sia effettivamente grave l’errore (e importante la distinzione tra i due documenti).

Nella nostra democrazia esistono in pratica due “enti” che gestiscono i poteri legislativo (fare le leggi) ed esecutivo (approvare le leggi). Il Governo, primo dei due enti, formato dal Consiglio dei Ministri e dal suo Presidente, ha il compito di proporre le leggi. Di scriverle, in sostanza. Il Parlamento, secondo ente, vota le proposte del Governo, spesso proponendo emendamenti (ovvero modifiche). In ogni caso, ogni legge deve passare alla Camera, al Senato e al vaglio del Presidente della Repubblica, dopo di che diventa effettiva. La proposta di legge (detta anche disegno di legge) è proprio la prima bozza preliminare che il Governo propone al Parlamento per la votazione.

In casi particolarmente urgenti, invece, il Governo ha la possibilità di emanare un decreto legge, ovvero un atto straordinario che diventa legge immediatamente, senza il consenso del Parlamento. Il Governo avrà poi 60 giorni di tempo per proporla in Parlamento e seguire l’iter consueto, senza il quale viene annullata retroattivamente. Esempio di decreto legge è l’aumento di potere dato ai prefetti dopo l’omicidio della donna a Tor di Quinto per mano (non proprio la mano, diciamo) di un rumeno.

Confondere le due cose, quindi, è un errore da principianti. Si può paragonare a un calciatore che prende il pallone con la mano. La giustificazione del Presidente del Consiglio («è stato un refuso»), pur placando la polemica, non basta certo a scagionare un Governo dall’accusa, seppur morale, di palese incompetenza.

Inoltre, data l’importanza della legge in questione e di tutte le polemiche che sta scatenando, non c’è bisogno di essere in malafede per pensare che lo sbaglio sia stato un po’ “forzato”. Come non collegare a tutto ciò, infatti, l’inchiesta della Procura di Napoli che sta indagando il Presidente del Consiglio per corruzione, proprio grazie alle intercettazioni delle sue telefonate con Agostino Saccà, presidente di Rai Fiction?

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