A che cosa serve votare?

Ieri mi ha lasciato perplesso, e anche con l’amaro in bocca, l’affermazione del Segretario del Partito Democratico, Dario Franceschini, rispetto agli elettori dell’Italia dei Valori: “Quello per Di Pietro è un voto inutile”, “non è un progetto”, “è un voto di protesta”.

Il livello a cui il Partito Democratico si sta abbassando è molto, troppo simile a quello di Berlusconi. Quest’ultimo insulta(va) i comunisti e considera(va) “cretino” l’elettore di sinistra. E se per sinistra si intende il Partito Democratico, forse il buon Silvio nemmeno si sbagliava…

L’affermazione di Franceschini non fa altro che confermare le mie scelte di voto, sia per l’operato dell’Italia dei Valori per quanto è in suo potere con una manciata di parlamentari, sia perché il Partito Democratico sta tentando senza riuscirci di emulare il successo della controparte, distorcendo cioè le informazioni al fine di mettere in cattiva luce gli avversari. Per utilizzare una metafora economica riguardo all’alleanza PD-IdV, la prima parte è la bad company, la seconda la good company. L’una combatte diffamando l’avversario, l’altra difendendo le proprie posizioni (giuste o sbagliate che siano, non è questo il punto).

Fermo restando ciò che ho appena scritto, non nego la veridicità dell’affermazione di Franceschini: può essere che il voto a Di Pietro sia semplicemente una sorta di protesta. Ma è proprio per questo che lo si vota. Se un supermercato A vendesse da sempre un prodotto scadente e gli nascesse a fianco un supermercato B con un prodotto migliore, la gente potrebbe andare da quest’ultimo per due motivi:

  1. Perché preferisce il prodotto migliore.
  2. Perché, pur essendo affezionata al supermercato A, vuole dare un segnale forte per incentivarlo al miglioramento.

Ora, quale sarebbe la migliore strategia del supermercato A? Diffamare il supermercato B accusando gli utenti di preferirlo per protesta, oppure cercare di rimboccarsi le maniche e recuperare i clienti perduti?

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